Il pianto – come ha affermato Darwin – è una delle “espressioni specifiche dell’uomo”, una peculiarità umana; nessun’altra specie è capace di piangere, esattamente come nessun’altra specie, all’infuori dell’uomo, possiede la capacità di comunicare mediante il linguaggio. C’è chi vede nelle lacrime e nel pianto il primum movens della capacità comunicativa umana. Nella filogenesi della cultura umana le lacrime hanno forse preceduto il linguaggio.
Il neonato è un individuo-soggetto che, seppur meno sviluppato dell’adulto, è sensibile al contatto umano, alle voci familiari e con un proprio assetto di competenze cognitive e affettive che fin dai primi giorni di vita gli permette di modulare la qualità (piacere/dispiacere) e la quantità (intensità) degli stimoli ambientali.
Il pianto è la prima espressione di vita alla nascita ed è la principale modalità di comunicazione del neonato per manifestare le proprie necessità fisiologiche e psicologiche. Il neonato, come ogni individuo, esprime le proprie esigenze e i propri sentimenti e lo fa, nel primo periodo della vita, anche – e soprattutto – attraverso il pianto. Questo rappresenta quindi la forma di comunicazione primaria: è il linguaggio del neonato che richiama l’attenzione dei genitori per richiedere nutrimento, aiuto, protezione e conforto. Compito dei genitori è quello di sintonizzarsi con i bisogni del proprio bambino, osservare e imparare ad ascoltare e interpretare il significato di quel pianto.
Il pianto è espressione di informazioni importanti sullo stato di salute psicofisica del neonato: esprime emozioni, livello maturità, stato di salute e ritmo del sonno. Il cervello regola e attiva il pianto in corrispondenza di stimolazioni esterne od interne che alterino il regolare funzionamento del corpo.
Anche il tono del pianto nei neonati, sia nati prematuri che nati a termine, è un segnale che permette di individuare precocemente un disagio, problema o sofferenza. Soprattutto, nei nati prematuri, il suono e la frequenza del pianto possono fornire informazioni precoci rispetto ad altri esami diagnostici; l’onda sonora contiene, infatti, informazioni sullo stato fisico e su possibili patologie del bambino.
Gli eventi che regolano il pianto interessano l’apparato respiratorio e il sistema nervoso. Il suono è generato dalle corde vocali e dal tratto vocale con una frequenza tra 250 Hz e 600 Hz. Il primo pianto del neonato, valutato con l’indice di Apgar, è uno dei parametri per definire le condizioni cliniche alla nascita; la vocalizzazione, la variabilità nel tempo, i movimenti degli arti associati al pianto forniscono informazioni sullo stato neurologico del soggetto. Per questo motivo sono stati condotti numerosi studi per analizzare l’onda sonora del pianto nei neonati.
Il neonato può piangere perché ha fame, necessita di essere cambiato dopo la minzione o l’evacuazione, l’ambiente che lo circonda è troppo caldo o troppo freddo, i rumori di sottofondo sono tali da provocargli fastidio/disagio o percepisce dolore. Anche lo stato d’animo dei caregiver può incidere rispetto allo stato di quiete del neonato e vissuti di stress possono incidere negativamente. Ascoltando le caratteristiche del pianto, in particolare il suo timbro, la sua intensità e durata, si possono ricavare numerose informazioni di seguito riportate:
- Il pianto da fame: il cui l’inizio è a bassa intensità per poi divenire più forte e ritmico;
- Il pianto da dolore: intenso, forte fin dall’inizio e prolungato nel tempo con, a seguire, una fase di silenzio e presenza di singhiozzi alternati a brevi inspirazioni;
- Il pianto da collera: simile al pianto da fame, ma con tonalità più bassa ed intensità costante.
Se il pianto non è provocato da dolore, fastidio, fame o sete probabilmente deriva dalla necessità di vicinanza e/o di contatto ed attenzione del bambino da parte dei genitori; è più facile accogliere questo bisogno quando ci si approccia al proprio figlio senza paura di esagerare e di “viziarlo”. La vicinanza è percepita non soltanto attraverso il contatto fisico, ma anche attraverso la vista e l’ascolto della voce (soprattutto della madre e del padre). Da sottolineare è l’importanza della sicurezza di ricevere cura e consolazione da parte del neonato: è falso pensare che lasciando piangere un bambino si rafforzerà da un punto di vista identitario, ma anzi è proprio la sicurezza di essere accolti e compresi nel pianto che lo aiuterà a comprendere come auto consolarsi e gestire il piando nel corso dello sviluppo.
I tempi e l’attesa nel consolare devono rispettare lo stato di benessere del bambino e la finestra di tolleranza del caregiver affinchè non si provochi distress in nessuno dei due. I vissuti di separazione sperimentati nell’esperienza della prematurità possono rendere più difficoltosa la sintonizzazione caregiver-bambino, più facilmente il pianto può essere ricondotto a una condizione esclusivamente di malessere.
Il pianto è importante nella relazione del bambino con l’ambiente e soprattutto con la madre. È dimostrato come nelle mamme vi sia una predisposizione alla comprensione del pianto del proprio figlio. La madre che non riesce a consolare il bambino finisce col sentirsi inadeguata. È importante che i genitori possano sentirsi accompagnati nel processo di comprensione del pianto del loro bambino, trovando nel pediatra un punto di riferimento a cui chiedere consigli su come comportarsi di fronte al bambino che piange.
Nelle lacrime del bambino e nella risposta dei genitori risiede ciò che di più istintivo e primitivo esiste nella natura umana: l’immagine dell’amore nella sua forma suprema. (Lutz, 2002)